Nobil destra, che sul fior degli anni, La
La nobil destra, che sul fior degli anni
Crebbe in Germania al Vaticano allori,
E schernendo di morte tetri orrori,
Colmò di ghiaccio gli Ottoman Tiranni,
Tuonando in guerra, a me sì forte in petto
Sparse desío di celebrar suor pregi,
Che in tesser di bei fior ghirlande, e fregi
Mi fu su Pindo il vigilar diletto.
Chi verso lampo di virtù, che altiero
Illustra il Mondo, volentier non mira?
Ah che altrui merto riguardar con ira
È vile infamia di villan pensïero.
E pure in terra è folta notte, e suolsi
Laitare invidia, io ciò mirai sovente,
E per modo il mirai, ch' egro e dolente
La cara cetra dalla man mi tolsi.
Or bella fama, che le lucid' onde
Lasciò dell'Adria, i miei desir consola,
E dilettoso canto indi diffonde,
E con tromba di gaudio ella sen vola.
La graude, che nel mar siede reina,
Nel cui sen libertate aurea ripara,
Per lo cui senno sollevarsi impara
Italia, quasi al traboccar vioina,
Lo sguardo volse, e tra' più forti scelse
Il Signor nostro, ed onorò suo nome.
Cosmo d' edere liete orniam le chiome,
Secolo torna di letizie eccelse.
Io finchè pace a' nostri giorni impetra
L' or di Saturno in sull'Aonia riva,
Canterò, come Amor l' Alme ravviva
Con dolci piaghe di mortal faretra.
Ma s' empia voce unqua risuona all' armi,
Armerò di gran corda arpa sonante,
E quasi per deserto onda spumante,
Dal petto ardente se n' andran miei carmi,
L' asta, dal cur ferire alta vittoria
Intra fulgidi acciari unqua non parte,
Porterò tino al ciel, cigno di Marte,
E con sue palme avanzerò mia gloria.
Crebbe in Germania al Vaticano allori,
E schernendo di morte tetri orrori,
Colmò di ghiaccio gli Ottoman Tiranni,
Tuonando in guerra, a me sì forte in petto
Sparse desío di celebrar suor pregi,
Che in tesser di bei fior ghirlande, e fregi
Mi fu su Pindo il vigilar diletto.
Chi verso lampo di virtù, che altiero
Illustra il Mondo, volentier non mira?
Ah che altrui merto riguardar con ira
È vile infamia di villan pensïero.
E pure in terra è folta notte, e suolsi
Laitare invidia, io ciò mirai sovente,
E per modo il mirai, ch' egro e dolente
La cara cetra dalla man mi tolsi.
Or bella fama, che le lucid' onde
Lasciò dell'Adria, i miei desir consola,
E dilettoso canto indi diffonde,
E con tromba di gaudio ella sen vola.
La graude, che nel mar siede reina,
Nel cui sen libertate aurea ripara,
Per lo cui senno sollevarsi impara
Italia, quasi al traboccar vioina,
Lo sguardo volse, e tra' più forti scelse
Il Signor nostro, ed onorò suo nome.
Cosmo d' edere liete orniam le chiome,
Secolo torna di letizie eccelse.
Io finchè pace a' nostri giorni impetra
L' or di Saturno in sull'Aonia riva,
Canterò, come Amor l' Alme ravviva
Con dolci piaghe di mortal faretra.
Ma s' empia voce unqua risuona all' armi,
Armerò di gran corda arpa sonante,
E quasi per deserto onda spumante,
Dal petto ardente se n' andran miei carmi,
L' asta, dal cur ferire alta vittoria
Intra fulgidi acciari unqua non parte,
Porterò tino al ciel, cigno di Marte,
E con sue palme avanzerò mia gloria.
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